Sono una mamma, sulla quarantina abbondante, cresciuta in campagna all’aria aperta e sportiva sin dalla gioventù. Ho sempre sentito l’esigenza di fare del movimento ed è una strada che ho continuato a percorrere anche quando ho iniziato a studiare e trovato lavoro dietro una scrivania. Direi che più ero costretta a stare ferma, più sentivo l’esigenza di muovermi.
Fin che ho potuto ho frequentato tutti i tipi possibili di corsi in palestra, poi sono arrivati i miei adorabili bimbi e ho cominciato a camminare ore e ore spingendo il passeggino, per passare gradatamente alla corsa. Famiglia e lavoro, ahimè, difficilmente permettono un impegno fisso in palestra, ed è così che ho iniziato a correre, pian pianino allungando le distanze e accorciando i tempi al chilometro. Si sa, una cosa, più la fai, più ti riesce e a me piaceva tanto l’idea di riuscirci.
Amante delle sfide, all’età di quarant’anni ho voluto farmi due regali: correre una maratona e imparare a nuotare.A questa veneranda età il fisico oppone un po’ di resistenza, ma per fortuna c’è la resilienza.
Fantastica la resilienza! In psicologia è la capacità di far fronte in maniera positiva agli eventi traumatici, di riorganizzare positivamente la propria vita dinanzi alle difficoltà. Adoro questa definizione ed è azzeccatissima per gli sport di durata, dove è necessario l’intervento della volontà quando sovviene la fatica.
E così ho incominciato a cronometrare ogni passo, ogni bracciata a misurare tempi, misurare, misurare, misurare. L’obiettivo era migliorare e, per non farmi mancare nessuna emozione, volevo avvicinarmi al triathlon, sulla scia di mio marito, ma con la consapevolezza che sarebbe stata un’esperienza ben diversa dalla sua, meno impegnativa se consideriamo che lui e’ amante delle lunghe distanze. Il triathlon è uno sport bellissimo e completo che consiste nel praticare di seguito nuoto, bici e corsa. Diciamoci la verità, l’obiettivo di imparare a nuotare non era deciso a caso.
In un paio d’anni ho corso la maratona, ho imparato a nuotare e ho fatto delle piccole gare di triathlon. In questi anni è successo qualcosa di molto bello, di magico, ho trovato un gruppo di amici sportivi e goderecci per cui lo sport è diventato il consolidamento di molte amicizie, occasione di momenti conviviali, di confronto, ma soprattutto uno “scacciastress” da scrivania e da routine di vita quotidiana.
E i figli? Non li ho mica abbandonati! Loro sono sempre stati al mio fianco, nel passeggino o mi seguivano in bicicletta mentre correvo. Loro vedono, imparano e imitano. Ma che c’è di male ad imitare un genitore sportivo? Nulla. Ecco, unica cosa, se ho il sentore che loro abbiano bisogno di me, si salta l’allenamento senza rimpianti, loro vengono prima.
E fin qui sembra una bella favoletta, fin che un giorno ….
Controllo mammografico di routine, calcificazioni, diagnosi, carcinoma. Una bella doccia fredda. Ma al contempo una gran bella lezione di vita. Tutti mi dicevano di pensare sempre positivo. All’inizio, non lo nego, non è stato facile, poi ho deciso di farmela amica questa “cosa” che non riesco nemmeno più a chiamare “malattia”. Il mio mantra era “nol è un mal che a nol sedi un ben”, non c’è un male che non sia un bene. In fin dei conti mi avevano promesso anche la ricostruzione, dopo gli “anta” avrei avuto un seno a prova di gravità! Se non è un miracolo questo!
Con il sostegno di tutta la mia famiglia, ho affrontato il primo intervento di mastectomia, e poi la ricostruzione. E pensare che quest’ultima non la volevo proprio fare; ora però ringrazio sempre, in cuor mio, il chirurgo donna che, da donna a donna, mi ha convinta, mettendomi di fronte all’impatto psicologico che mi avrebbe creato una mutilazione.
Dopo il primo intervento, appena ho visto i chirurghi ho chiesto “quando posso tornare a nuotare?”. Mi guardavano ridendo e mi dicevano di stare tranquilla per qualche mese. Come dargli torto? Il mio assetto era completamente cambiato, e i dolori non mancavano. Passati i due mesi però ero in acqua. Non riuscivo ancora a fare dei movimenti fluidi con le braccia e così mi facevo vasche solo di gambe, a rana, a stile, a dorso, a criceto! Uscivo dall’acqua ed ero rilassata. Sul finir della stagione invernale ho fatto sci di fondo e una bella escursione con gli sci da alpinismo assieme a mio marito. Tutto a ritmi molto più blandi rispetto a quelli cui ero abituata.
E fin qui sembra ancora una bella favoletta, sconfitta la malattia e vissero tutti felici e contenti. Ma non abbiamo ancora parlato della terapia. E qui si apre un mondo: sai che potrebbe toccarti la radioterapia, la chemioterapia, la ormonoterapia. Io mi reputo fortunata, la diagnosi precoce e le caratteristiche del carcinoma (molto piccolo e localizzato) mi hanno permesso di cavarmela con la terapia farmacologica. Ogni sera una pilloletta che si chiama tamoxifene e inibisce l’attività ormonale, riduce la possibilità di recidive, ma in cambio regala dei “simpatici” sintomi di menopausa.
I sintomi della menopausa ti mettono davanti all’orologio della vita e ti fanno assaggiare la realtà dell’invecchiamento, che vuol dire mancanza delle forze, dolori articolari, cambiamenti dell’umore. L’oncologa mi aveva preparata, ma mi aveva al contempo rassicurata dicendomi che nell’arco di un anno mi ci sarei abituata. Quando ho ripreso il corso di nuoto ero veramente fuori forma, in certe occasioni ero davvero avvilita e volevo mollare tutto. Ma poi è successo che davvero mi sono abituata a convivere con questa situazione e tanti sintomi si sono via via attenuati.
Devo dire però che al farmaco, abbinavo, lavoro permettendo, pillole di movimento a cadenza regolare: nuoto due volte a settimana, più altre attività a piacere nel fine settimana. Oggi sono fermamente convinta che sia stato la miglior terapia coadiuvante per gli effetti collaterali.
Il mio modo di fare sport è cambiato dopo questa esperienza, non lo faccio più con l’obiettivo di andare più veloce, di fare chilometri su chilometri, diciamoci anche la verità, sono iscritta nell’age-group dei triatleti, mica devo fare le olimpiadi! L’orologio cronometro che mi misura i tempi e le distanze orami dice che sono lenta, ma ha anche una bellissima funzione che mi dice “muoviti”, oppure c’è quella per cui smette di cronometrare se mi fermo a godermi un bel paesaggio.
Ovviamente dopo l’intervento di ricostruzione e dopo essermi abituata alla terapia, non potevo non dare sfogo alla mia indole ribelle e dinamica, così ho passando un bellissimo inverno prevalentemente sugli sci, facendo delle escursioni bellissime in quota, con mio marito. Ho sciato tanto con i miei bambini, cercando di trasmettere loro questa splendida passione che è una tra le piu´belle che mi ha trasmesso mio papà.
Ho ripreso anche a correre, a pedalare, ma soprattutto a vivere, a vivere una vita più intensa e più felice, sentendomi ogni giorno soddisfatta per quel che ho.
Questa è la mia piccola esperienza fortunata, che ho deciso di scrivere per motivare le persone a non mollare, ad inseguire un obiettivo, qualunque esso sia, senza perdersi di coraggio, anche in situazioni in cui le cose si complicano. La soddisfazione di esserci riusciti in situazioni difficili è ancora maggiore! Sottolineo, inoltre, l’importanza del movimento come forma di prevenzione, un fisico forte affronta meglio qualunque cosa!
Devo molto ai miei familiari, ma più di tutti a mio marito, che in tutto questo mi sostiene da tempo e ogni giorno.
Monica Fabris, 2016